lunedì 28 novembre 2011

Illustrissimi Dirigenti e Militanti dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia

ritengo che il modo migliore per celebrare Totò Di Benedetto sia quello di porre in essere una vera e propria battaglia a difesa dei valori di Totò, finalizzata anche ad impedire che la memoria di Totò venga strumentalizzata nel tentativo di rifare una “verginità” ad una squallida cricca di potere che pratica quotidianamente l’esatto opposto dei principi e degli insegnamenti etici, morali e politici per i quali Totò Di Benedetto ha rischiato la sua esistenza ed ha impegnato l’intera vita.
Io, Giuseppe Arnone, che Vi invio questa lettera pubblica, sono per consenso di popolo il più apprezzato dirigente politico della Sinistra agrigentina. E sono anche, per testimonianza del principale e più attendibile dei pentiti di Cosa Nostra di questa terra, l’uomo politico agrigentino più temuto ed inviso a Cosa Nostra di Agrigento. Al contrario, il mio grande avversario, l’ex presidente della Regione Angelo Capodicasa, viene descritto dal super-pentito Maurizio Di Gati come un soggetto che dentro Cosa Nostra veniva valutato come disponibile ed avvicinabile. Nel foglio allegato, potrete leggere testualmente i verbali del super-pentito Di Gati, ritenuto dalla Magistratura assolutamente attendibile per come sta scritto nelle sentenze che, tra l’altro, anche sulla base delle sue affermazioni, hanno consentito le condanne di Dell’Utri, Cuffaro e di molti altri ancora. Di Gati, per intenderci, è quello che racconta di aver trasportato le armi per uccidere Beppe Lumia, dei brindisi dentro Cosa Nostra per celebrare le stragi degli inizi degli anni ’90, dello scellerato patto tra i berlusconiani e gli uomini di Cosa Nostra per alleggerire la normativa antimafia.
Ma lasciamo Di Gati e dedichiamoci per un attimo allo squallore di alcune presenze chiamate a commemorare il grande Totò Di Benedetto. Iniziamo dalla storia più ridicola, quella del cosiddetto segretario dell’ANPI, Domenico Pistone: Pistone si è coperto di ridicolo, mentendo clamorosamente davanti ai Giudici per favorire i suoi amici responsabili di reati di falso contro il Partito Democratico ed alcuni dei suoi candidati. Fu chiamato dal Tribunale per confermare che la sua firma era stata malamente falsificata in un atto pubblico. Tra le ironie dei verbalizzanti, ebbe la faccia tosta di dichiarare di non essere in grado di riconoscere la propria firma, cioè di confermare se quello che gli veniva mostrato fosse o meno il suo autografo. Giovane “di bottega”, Pistone, che è anche segretario del PD nella città di Agrigento: non apre il tesseramento per alterare la democrazia interna al partito, impedendo che gente come me possa tesserarsi.
Cari amici dell’ANPI, pensate che i partigiani agrigentini, e Totò Di Benedetto in primis, sarebbero contenti di avere un simile segretario commemoratore?
Continuiamo con le “cose allegre”, o, per meglio dire, “ridicole”. Un altro dei commemoratori è l’on. Giacomino Di Benedetto. A Totò lo unisce solo il cognome, non certo i comportamenti. Recentemente mi ha querelato dando vita al più comico dei processi. Si è sentito leso perché io ho ricostruito l’acquisto da parte dell’ente Provincia Regionale di Agrigento del quadro del cognato, pittore campano di non eccelse fortune, proprio mentre Giacomino era amministratore della Provincia. Costò all’ente 10 milioni conio del ’90 e non coincideva con la decisione di istituire una pinacoteca: ovvero, un favore da tre soldi (rectius: da 10 milioni di lire) per beneficiare un congiunto. “Vizietto” che si è ripetuto recentemente: il commemoratore Giacomino ha fatto carriera, la cricca è riuscita ad eleggerlo all’Assemblea Regionale e il presidente della Commissione Bilancio, per ragioni imperscrutabili, decide di inserire nella lista dei finanziamenti della vergogna l’associazione culturale “fantasma” della moglie di Giacomino: la vita, si sa, è cara ed ecco allora 25 mila euro!
Cosa abbia da spartire poi l’on. Angelo Lauricella con i partigiani e con Totò Di Benedetto è un interessante mistero, certamente condito anche dal cattivo gusto. La cricca di cui parlo, chiamata anche più elegantemente “cooperativa di produzione di …deputati e senatori”, prese il potere agli inizi degli anni ’70 organizzando nell’allora PCI un’attività correntizio-frazionistica, finalizzata a emarginare il vecchio gruppo dirigente che aveva in Totò Di Benedetto e nel segretario della CGIL Palumbo gli elementi di maggiore spicco. I “giovani leoni” che organizzarono la cordata vincente erano, in primo luogo, Angelo Capodicasa, Angelo Lauricella, Federico Martorana, Giovanni Sacco, Agostino Spataro. Si allearono con due “lupi” più esperti, la cui visione degradata della politica era tenuta a freno, appunto, dalla integrità morale e dall’autorevolezza di Totò Di Benedetto, molto mal sopportata da personalità come Michelangelo Russo e Calogero Gueli. I “giovani leoni”, in tal modo, ebbero spianate luminose carriere in Parlamento, con relative indennità e pensioni. Consegnarono il partito per lustri a Michelangelo Russo, lasciarono Gueli alla nota mala gestione della zona orientale della provincia, consegnarono la CGIL a personaggi della “elevata moralità” quali Riccardo Viviani (oggi condannato pure per aver rubato 20 mila euro alla Camera di Commercio!!!).
Ovviamente, anche tra coloro che pensavano di “svecchiare” il partito da figure come quelle di Totò Di Benedetto vi erano personalità di spessore ed in assoluta buona fede, come innanzitutto Agostino Spataro che infatti, dopo pochi anni, ruppe con la “cooperativa”, e lo stesso Giovanni Sacco, l’unico dei “congiurati” che – guarda caso – oggi non gode di pensione parlamentare.
Ecco perché vedere oggi Angelo Lauricella, uno dei capi di quella congiura politica, quale organizzatore della commemorazione di Totò è come vedere il boia che organizza la commemorazione della sua vittima!
È mia opinione, Signori dell’ANPI, che se la “cooperativa” di produzione dei deputati e dei senatori, capeggiata da Lauricella e da Capodicasa, non avesse fatto fuori politicamente la leadership politica di Totò Di Benedetto, consegnando il partito negli anni ’70 a Michelangelo Russo ed ai suoi metodi, la storia di questa terra agrigentina sarebbe stata diversa, molto diversa e di gran lunga migliore.
Per commemorare un partigiano, un uomo che ha abbandonato la più agiata e comoda casa del suo paese, il futuro di giovane più brillante e dotato della sua terra, per combattere armi in pugno il fascismo e mettere così in gioco la sua esistenza, occorre dire come stanno le cose. Ed è doveroso impedire che, appunto, la memoria venga capovolta con una operazione tipicamente staliniana o, più modernamente e modestamente, berlusconiana.
Cari amici dell’ANPI, il vostro Presidente Angelo Lauricella ha portato nel fango la vostra bandiera recandosi in prima fila, assieme all’intera cricca alla solenne commemorazione funebre del loro compagno di cordata (e di congiura) on. Calogero Gueli. Gueli è una delle figure più torbide e negative che abbia mai avuto la politica agrigentina. Secondo il super pentito Di Gati era in mano alla cosca mafiosa del super boss Giuseppe Falsone. Il figlio ed il genero di Gueli, condannati irrevocabilmente per mafia, secondo il super pentito facevano parte del gruppo di killer di Cosa Nostra. Il Governo Prodi sciolse per mafia il Comune di Campobello amministrato da Gueli: Gueli fece ricorso e vinse il Governo Prodi. Gueli fu condannato in I° Grado per concorso in mafia. Fu assolto in Appello con l’inequivocabile motivazione secondo la quale, da sindaco, aveva commesso un’ampia serie di illeciti penali per favorire le società edili e di appalti che il medesimo Gueli gestiva assieme ai suoi congiunti mafiosi. Ma vi era il dubbio che gli illeciti ed i misfatti fossero commessi semplicemente per arricchire sé medesimo, i suoi figli ed il genero e non vi era, invece, la certezza che oltre a questo scopo di illecito arricchimento privato Gueli volesse anche favorire la consorteria di Cosa Nostra alla quale con certezza appartenevano i suoi congiunti. Sempre la Corte d’Appello scrisse che il pentito Di Gati che ricostruiva i legami appresi de relato tra il sindaco Gueli ed il boss Falsone era estremamente attendibile, ma quella testimonianza non era sufficiente per la condanna di Gueli per mafia.
Per cotanto personaggio si è organizzato il lutto cittadino e la pubblica commemorazione, affidata principalmente al parlamentare ed ex presidente della Regione Angelo Capodicasa. In quell’occasione Capodicasa ha ritenuto di lanciarsi in una serie di insulti “solenni”, degni di un commemoratore ufficiale, definendo “corvi, iene e sciacalli” coloro che avevano recato fastidio al suo grande amico Gueli, cioè investigatori, magistrati e politici come Arnone.
Mi sono costituito parte civile a tutela della vittima di un sanguinoso pestaggio, in perfetto stile mafioso, posto in essere dal figlio di Gueli, oggi in galera per mafia, congiuntamente ad un pregiudicato condannato per l’omicidio di un carabiniere. Dagli uffici di Gueli vi fu la sfilata di testi mendaci per ribaltare la verità. La vittima era stata pestata con l’esplicito avvertimento che non avrebbe più dovuto infastidire il sindaco Gueli. Era l’anno del Signore 2003 e chiesi pubblicamente a Capodicasa ed agli alti dirigenti provinciali del PD di prendere le distanze da Gueli e di denunziare quei metodi mafiosi. La risposta fu l’assoluta copertura. E solidarietà: legame inscindibile, quello tra Gueli, Capodicasa e Lauricella!
Nel giugno del 2008 Gueli mi inviò una lettera pubblica grondante di minacce di morte, sempre godendo della massima solidarietà da parte dei suoi vecchi amici. Chi vuole può leggerla sul Corriere della Sera: quella lettera impressionò talmente Gian Antonio Stella che le dedicò un articolo indignato.
Mi avvio a concludere perché molto altro, cari amici dell’ANPI, potete leggerlo nel volantone in allegato, da me distribuito all’iniziativa di Matteo Renzi dello scorso 29 ottobre a Firenze. Vi potrete leggere anche le collusioni dell’on. Capodicasa con il grande corruttore agrigentino imprenditore Gaetano Scifo: Scifo era stato appena scarcerato, aveva sul groppone l’accusa di essere il prestanome e socio (occulto) dei capi di Cosa Nostra agrigentina pure arrestati con lui. Bene, nella testimonianza che potete leggere nel documento allegato il super poliziotto Attilio Brucato racconta come il corruttore appena scarcerato fu ricevuto in pompa magna dall’on. Capodicasa nella sede del partito per concordare le iniziative a sostegno degli interessi illeciti di cotanto uomo d’affari e d’illecito. La Polizia non poté mascherare l’enorme sorpresa per queste iniziative della “cricca” e del suo grande capo.
Massimo D’Alema potrà leggere nel documento allegato le domande che vengono rivolte in quel caso a Rosy Bindi ma che valgono esattamente anche per lui e che sono relative anche allo scandalo degli scandali, cioè il ruolo di Mirello Crisafulli quale capo dalemiano in Sicilia. Ed infine, non posso trascurare una battuta sul segretario provinciale del PD Emilio Messana, responsabile di reati di falso in documenti elettorali, per nominare due uomini fidati, che potevano all’uopo favorire con “spregiudicatezze” il candidato Giacomo Di Benedetto alle elezioni regionali del 2008. Messana, con l’evidente supporto dei suoi capi e complici, fu il regista e principale responsabile penale della falsificazione delle tre firme in calce all’atto di nomina dei rappresentati del partito presso la Commissione Elettorale del Tribunale di Agrigento. In un quadro di omertà e di evidenti ricatti reciproci, malgrado la enorme e palese gravità della vicenda, Messana è stato incredibilmente rieletto segretario. Presiedevano quel congresso del PD il presidente dell’ANPI Angelo Lauricella, unitamente a Vittorio Gambino, che in quel momento aveva sul groppone la condanna ad un anno di galera per aver utilizzato l’atto falsificato da Messana. Malgrado la condanna presiedeva il congresso. Per la cronaca pochi giorni fa la Corte d’Appello aderiva alla tesi difensiva che Gambino era inconsapevole che Messana lo aveva nominato mediante un atto pubblico falsificato.
Dirigenti e Militanti dell’ANPI, osservate il poster-bus, leggete queste pagine, leggete il documento che vi allego e poi indignatevi assieme a me ed onoriamo così la memoria di Totò Di Benedetto, aprendo una battaglia perché innanzitutto l’ANPI di Agrigento ma anche la Sinistra agrigentina abbiano profili e dirigenti diversi dallo squallore che ho qui descritto.
E al Presidente Massimo D’Alema chiediamo, ancora una volta, una risposta chiara e definitiva alle questioni poste nel presente documento, ma anche nell’allegato volantino e nel posterbus. 

Nessun commento:

Posta un commento